Nel 2015 sono state 153 le notifiche arrivate dal Rasff, il Sistema di allerta rapido europeo, che hanno riguardato i materiali utilizzati per il confezionamento, l’imballaggio e la conservazione degli alimenti. Sono i “materiali e oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti” – semplicemente Moca per gli addetti ai lavori -, con cui le imprese dell’agroalimentare devono fare i conti e per essere in regola devono prestare particolare attenzione alle dichiarazioni di conformità dei materiali ed oggetti destinati a entrare in contatto con i prodotti alimentari.
Bottiglie di plastica usate più volte, pellicole low cost che liberano ftalati, pentole di dubbia provenienza che rilasciano metalli pesanti: le segnalazioni di materiali a rischio provengono soprattutto dalla Cina, e si riferiscono a prodotti che hanno la capacità di rilasciare metalli pesanti, principalmente cromo, nichel, cadmio e piombo.
«Per garantire la sicurezza alimentare – spiega Luca Medini, direttore di Labcam srl, Laboratorio chimico merceologico della Camera di Commercio di Savona – la legislazione stabilisce che si debba considerare anche i materiali e gli oggetti che vengono a contatto con gli alimenti quindi macchinari e utensili per produzione e confezionamento, contenitori, stoviglie, tutti devono avere requisiti di idoneità al contatto alimentare. Inoltre su tutta la filiera dell’industria alimentare ricade la responsabilità di verifica della conformità e idoneità tecnologica per l’utilizzo di materiali e oggetti. Tutto il packaging deve essere corredato da una dichiarazione scritta da parte dell’azienda fornitrice che attesti la conformità dei materiali e degli oggetti alle norme e l’applicazione del regolamento Ce 2003/2006 relativo alle buone pratiche di fabbricazione». Oltre a garantire la sicurezza, gli operatori del settore sono coinvolti nella gestione dei Moca dal punto di vista ambientale: dalla produzione all’utilizzo. L’elenco dei composti che possono entrare a contato con il cibo che arriva sulle nostre tavole è lungo: il bisfenolo A di alcune plastiche per contenitori e stoviglie (pericoloso ma, stando alle ultime valutazioni dell’EFSA- European Food Safety Authority, non siamo esposti a quantità tali da essere dannose), gli ftalati nel PVC delle bottiglie, il teflon delle padelle antiaderenti, l’alluminio per avvolgere i cibi.
La legge prevede che tutti questi materiali devono essere prodotti conformemente alle buone pratiche di fabbricazione il che significa che in condizioni d’impiego normale o prevedibile, non devono trasferire agli alimenti componenti in quantità tale da costituire un pericolo per la salute umana. Inoltre i materiali non devono comportare una modifica inaccettabile della composizione dei prodotti alimentari o un deterioramento delle caratteristiche organolettiche.



Sindrome sgombroide e istamina:il commento di LABCAM Albenga
Il caso delle intossicazioni alimentari a Genova del 10 dicembre 2025, con 18 persone soccorse dopo il consumo di piatti a base di pesce (probabilmente tonno), riporta sotto i riflettori un fenomeno tossicologico che spesso è sottovalutato: la sindrome sgombroide, ovvero un’intossicazione da istamina potenzialmente grave ma difficilmente riconoscibile a prima vista.
L’istamina è una ammina biogena prodotta dalla decarbossilazione dell’aminoacido istidina, che è naturalmente presente nei tessuti di molte specie ittiche appartenenti alla famiglia Scombridae — tra cui tonno, sgombro, sardine e acciughe.
Questa reazione non avviene spontaneamente nella carne di pesce fresca: è invece innescata da enzimi batterici che proliferano quando la catena del freddo viene interrotta o quando il pesce è conservato a temperature superiori ai 6-10 °C per periodi prolungati.
Meccanismo biochimico e correlazione con la sindrome sgombroide
In condizioni di deterioramento, i batteri trasformano l’amminoacido istidina in istamina, che può accumularsi in concentrazioni molto elevate. L’istamina così formata è termostabile: non viene decomposta da normali processi di cottura, refrigerazione o congelamento.
Dal punto di vista biochimico, l’istamina ingerita scatena reazioni cliniche molto simili a quelle delle allergie IgE-mediate — arrossamento cutaneo, prurito, nausea, vomito, diarrea, tachicardia, mal di testa — con un’insorgenza rapida, solitamente nell’arco di pochi minuti fino a due ore dopo il pasto.
Studi clinici hanno dimostrato che nei casi di intossicazione sgombroide, esami sulle urine mostrano livelli di istamina e dei suoi metaboliti decine di volte superiori ai valori normali, confermando la tossicità diretta della molecola assunta con l’alimento contaminato.
Il caso di Genova: elementi tecnici di correlazione
Nel caso di Genova:
Aspetti diagnostici e limiti di prevenzione
Dal punto di vista sanitario, la diagnosi di sindrome sgombroide è prevalentemente clinica: non esistono test immediati durante il soccorso per confermare istamina alta nei tessuti ingeriti. I controlli analitici su campioni di alimento e indagini sulla filiera alimentare sono necessari ma richiedono tempo e strumentazione all’avanguardia.
La prevenzione, dal punto di vista tecnico igienico, si concentra su:
Conclusioni tecnico-scientifiche
La recente serie di intossicazioni genovesi conferma un dato noto dalla letteratura scientifica: la correlazione tra accumulo di istamina nei prodotti ittici e la sindrome sgombroide è diretta e determinante, e può manifestarsi anche in assenza di evidenti segni di deterioramento del pesce.
Per operatori e autorità sanitarie, l’evento sottolinea l’importanza di controlli efficaci sulla filiera della conservazione del pesce, nonché la necessità di una diagnosi tempestiva e differenziale con altre forme di tossinfezioni alimentari. Solo così è possibile contenere il rischio di futuri episodi simili.
Luca Medini, direttore LABCAM Albenga
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