È di questi giorni la notizia di un bambino di appena 14 mesi che ha contratto, a Pistoia, una sindrome emolitico uremica connessa al consumo di un formaggio, risultato contaminato da escherichia coli. La sindrome emolitico uremica provocata da Escherichia coli “O26:H11” colpisce in maniera seria i bambini, può provocare l’insufficienza renale e il decesso, mentre ha una sintomatologia più lieve e prevalentemente intestinale sugli adulti.
Per i bambini che contraggono la sindrome emolitico uremica, sono necessarie trasfusioni di sangue e dialisi, eseguite nel reparto di terapia intensiva di un ospedale.
Esistono diversi ceppi di escherichia coli, ma solo alcuni di essi causano intossicazioni alimentari. In natura è possibile trovarne centinaia di ceppi del tutto inoffensivi, tra cui quelli che popolano l’apparato digerente degli esseri umani e di altri animali a sangue caldo. Alcuni ceppi, tuttavia, sono una causa frequente di infezioni dell’apparato digerente e di quello urogenitale.
Nel 1982 negli Stati Uniti gli scienziati hanno identificato il primo ceppo di E. Coli in grado di provocare intossicazioni alimentari, che è la principale causa di intossicazioni negli Stati Uniti, ed è l’O157:H7, così chiamato in riferimento ai composti chimici che si trovano sulla superficie del batterio. La principale fonte di O157:H7 è il bestiame domestico, ma questi batteri si trovano anche in altri animali domestici o selvatici.
L’8% circa dei pazienti affetti dalla sindrome emolitico-uremica soffrirà per tutta la vita anche di altre complicazioni, ad esempio di ipertensione, convulsioni, cecità, paralisi e delle conseguenze dell’asportazione di parte dell’intestino.
L’Escherichia Coli produttore di Shiga-tossine (STEC) si trasmette mediante consumo di alimenti o bevande contaminati: il Dipartimento per la sicurezza alimentare e per il servizio di prevenzione nell’agricoltura degli Stati Uniti offre un elenco di prodotti alimentari contaminati dai ceppi pericolosi. Tra gli alimenti e le bevande che in passato hanno causato epidemie di Escherichia Coli con maggior frequenza: hamburger crudi o cotti male, salame, spinaci, lattuga, germogli, latte, succo di mela, sidro non pastorizzati, acqua contaminata, proveniente dai pozzi o dalle superfici frequentate dagli animali.
“Nel caso del bambino di Pistoia – spiega Luca Medini, direttore di Labcam srl-Laboratorio chimico merceologico della Camera di Commercio di Savona – le analisi hanno avvalorato i sospetti nati nella fase dell’indagine epidemiologica condotta dagli operatori dei dipartimenti di prevenzione della Azienda Sanitaria che avevano prontamente disposto il ritiro dal commercio del formaggio, proveniente dalla Romania, e contemporaneamente proposto l’avvio del sistema di allerta al fine di bloccare la distribuzione e la commercializzazione del prodotto per garantire la sicurezza dei consumatori”.
Sull’episodio è intervento anche il Ministero della Salute per rivalutare l’efficacia del sistema di allerta in tutti gli Stati dell’Unione Europea in considerazione degli ottimi livelli presenti in Italia.
Nonostante i controlli, in Italia si stima che le infezioni alimentari colpiscano ogni anno 10.000 soggetti. «Negli ultimi anni – spiega Medini – stiamo assistendo a un progressivo aumento di alcune tossinfezioni alimentari gravi causate da agenti infettivi. Spesso si tratta di infezioni acute, talora gravi, che si possono presentare come casi singoli oppure in forma epidemica, e per le quali c’è la necessità di una azione sanitaria multipla».



Sindrome sgombroide e istamina:il commento di LABCAM Albenga
Il caso delle intossicazioni alimentari a Genova del 10 dicembre 2025, con 18 persone soccorse dopo il consumo di piatti a base di pesce (probabilmente tonno), riporta sotto i riflettori un fenomeno tossicologico che spesso è sottovalutato: la sindrome sgombroide, ovvero un’intossicazione da istamina potenzialmente grave ma difficilmente riconoscibile a prima vista.
L’istamina è una ammina biogena prodotta dalla decarbossilazione dell’aminoacido istidina, che è naturalmente presente nei tessuti di molte specie ittiche appartenenti alla famiglia Scombridae — tra cui tonno, sgombro, sardine e acciughe.
Questa reazione non avviene spontaneamente nella carne di pesce fresca: è invece innescata da enzimi batterici che proliferano quando la catena del freddo viene interrotta o quando il pesce è conservato a temperature superiori ai 6-10 °C per periodi prolungati.
Meccanismo biochimico e correlazione con la sindrome sgombroide
In condizioni di deterioramento, i batteri trasformano l’amminoacido istidina in istamina, che può accumularsi in concentrazioni molto elevate. L’istamina così formata è termostabile: non viene decomposta da normali processi di cottura, refrigerazione o congelamento.
Dal punto di vista biochimico, l’istamina ingerita scatena reazioni cliniche molto simili a quelle delle allergie IgE-mediate — arrossamento cutaneo, prurito, nausea, vomito, diarrea, tachicardia, mal di testa — con un’insorgenza rapida, solitamente nell’arco di pochi minuti fino a due ore dopo il pasto.
Studi clinici hanno dimostrato che nei casi di intossicazione sgombroide, esami sulle urine mostrano livelli di istamina e dei suoi metaboliti decine di volte superiori ai valori normali, confermando la tossicità diretta della molecola assunta con l’alimento contaminato.
Il caso di Genova: elementi tecnici di correlazione
Nel caso di Genova:
Aspetti diagnostici e limiti di prevenzione
Dal punto di vista sanitario, la diagnosi di sindrome sgombroide è prevalentemente clinica: non esistono test immediati durante il soccorso per confermare istamina alta nei tessuti ingeriti. I controlli analitici su campioni di alimento e indagini sulla filiera alimentare sono necessari ma richiedono tempo e strumentazione all’avanguardia.
La prevenzione, dal punto di vista tecnico igienico, si concentra su:
Conclusioni tecnico-scientifiche
La recente serie di intossicazioni genovesi conferma un dato noto dalla letteratura scientifica: la correlazione tra accumulo di istamina nei prodotti ittici e la sindrome sgombroide è diretta e determinante, e può manifestarsi anche in assenza di evidenti segni di deterioramento del pesce.
Per operatori e autorità sanitarie, l’evento sottolinea l’importanza di controlli efficaci sulla filiera della conservazione del pesce, nonché la necessità di una diagnosi tempestiva e differenziale con altre forme di tossinfezioni alimentari. Solo così è possibile contenere il rischio di futuri episodi simili.
Luca Medini, direttore LABCAM Albenga
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