La Commissione europea ha abrogato il regolamento di esecuzione (UE) 322/2014 sulle misure di importazione di alimenti dal Giappone o lì trasformati-transitati. Dal 2011, infatti, la Commissione, con misure di emergenza, prevede una restrizione alle importazioni armonizzata in tutta Europa al fine di meglio proteggere la salute dei cittadini a seguito dell’esplosione, avvenuta quattro anni fa, nella centrale atomica di Fukushima.
Le misure previste nel provvedimento appena pubblicato sono state proposte tenendo conto di oltre 81.000 dati sulla radioattività negli alimenti per animali e nei prodotti alimentari diversi dalla carne bovina e di oltre 237.000 dati sulla radioattività nella carne bovina forniti dalle autorità giapponesi e riguardanti il quarto periodo vegetativo successivo all’incidente.
Ma per esportare verso il Giappone a quali obblighi devono sottostare le imprese italiane? “Le autorità nipponiche sono molto rigorose nei confronti degli alimenti importati – spiega Luca Medini, direttore di Labcam srl – il nostro Laboratorio di Albenga è entrato nella “white liste” del ministero della Salute giapponese e pertanto è accreditato per le analisi che il governo nipponico esige sulle merci italiane”.
In Giappone è consentita l’esportazione di carni suine fresche e di prodotti a base di carne suina. A questo proposito richiedono il rispetto rigoroso della tracciabilità degli animali dagli allevamenti al macello e delle carni allo stabilimento di trasformazione. “Ogni passaggio deve essere tracciato attraverso specifica documentazione – spiega Medini – Nel caso di impiego di materia prima proveniente da altro Paese Ue abilitato all’esportazione verso il Giappone le autorità nipponiche richiedono una certificazione veterinaria per la materia prima rilasciata dall’autorità del Paese di origine, che deve scortare il prodotto a base di carne esportato in Giappone, insieme al certificato rilasciato dal servizio veterinario italiano”.
Molte le restrizioni delle autorità nipponiche. Ad esempio, gli allevamenti di provenienza degli animali devono essere situati in aree indenni da malattie infettive e i container per l’esportazione devono essere sigillati qualora il trasporto dall’Italia al Giappone non sia diretto. Gli stabilimenti per l’esportazione verso il Giappone devono essere inclusi in una apposita lista di impianti abilitati a seguito di ispezione di ispettori veterinari ministeriali italiani.



Sindrome sgombroide e istamina:il commento di LABCAM Albenga
Il caso delle intossicazioni alimentari a Genova del 10 dicembre 2025, con 18 persone soccorse dopo il consumo di piatti a base di pesce (probabilmente tonno), riporta sotto i riflettori un fenomeno tossicologico che spesso è sottovalutato: la sindrome sgombroide, ovvero un’intossicazione da istamina potenzialmente grave ma difficilmente riconoscibile a prima vista.
L’istamina è una ammina biogena prodotta dalla decarbossilazione dell’aminoacido istidina, che è naturalmente presente nei tessuti di molte specie ittiche appartenenti alla famiglia Scombridae — tra cui tonno, sgombro, sardine e acciughe.
Questa reazione non avviene spontaneamente nella carne di pesce fresca: è invece innescata da enzimi batterici che proliferano quando la catena del freddo viene interrotta o quando il pesce è conservato a temperature superiori ai 6-10 °C per periodi prolungati.
Meccanismo biochimico e correlazione con la sindrome sgombroide
In condizioni di deterioramento, i batteri trasformano l’amminoacido istidina in istamina, che può accumularsi in concentrazioni molto elevate. L’istamina così formata è termostabile: non viene decomposta da normali processi di cottura, refrigerazione o congelamento.
Dal punto di vista biochimico, l’istamina ingerita scatena reazioni cliniche molto simili a quelle delle allergie IgE-mediate — arrossamento cutaneo, prurito, nausea, vomito, diarrea, tachicardia, mal di testa — con un’insorgenza rapida, solitamente nell’arco di pochi minuti fino a due ore dopo il pasto.
Studi clinici hanno dimostrato che nei casi di intossicazione sgombroide, esami sulle urine mostrano livelli di istamina e dei suoi metaboliti decine di volte superiori ai valori normali, confermando la tossicità diretta della molecola assunta con l’alimento contaminato.
Il caso di Genova: elementi tecnici di correlazione
Nel caso di Genova:
Aspetti diagnostici e limiti di prevenzione
Dal punto di vista sanitario, la diagnosi di sindrome sgombroide è prevalentemente clinica: non esistono test immediati durante il soccorso per confermare istamina alta nei tessuti ingeriti. I controlli analitici su campioni di alimento e indagini sulla filiera alimentare sono necessari ma richiedono tempo e strumentazione all’avanguardia.
La prevenzione, dal punto di vista tecnico igienico, si concentra su:
Conclusioni tecnico-scientifiche
La recente serie di intossicazioni genovesi conferma un dato noto dalla letteratura scientifica: la correlazione tra accumulo di istamina nei prodotti ittici e la sindrome sgombroide è diretta e determinante, e può manifestarsi anche in assenza di evidenti segni di deterioramento del pesce.
Per operatori e autorità sanitarie, l’evento sottolinea l’importanza di controlli efficaci sulla filiera della conservazione del pesce, nonché la necessità di una diagnosi tempestiva e differenziale con altre forme di tossinfezioni alimentari. Solo così è possibile contenere il rischio di futuri episodi simili.
Luca Medini, direttore LABCAM Albenga
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