Oltre 10 tonnellate di olive da tavola colorate e potenzialmente pericolose per la salute sono state sequestrate in questi giorni in Puglia dagli agenti della Forestale. Olive contraffatte a cui sono stati aggiunti additivi chimici, non autorizzati dalla legge, per nasconderne i difetti. La colorazione avveniva utilizzando sia la clorofilla ramata (sostanza alimentare classificata dalla UE come colorante E141 con procedimento vietato dalla legislazione nazionale e da quella europea) sia il solfato di rame particolarmente nocivo alla salute umana. Questo è solo l’ultimo episodio che ha visto la contraffazione di olive e olio nel nostro Paese.
Negli ultimi anni sono in aumento casi di questo genere che minacciano la produzione di qualità. Per contrastare le frodi, il ministero delle Politiche agricole sta pensando di mettere a punto una strategia a lungo termine puntando sull’identificazione del DNA attraverso cui è possibile determinare le caratteristiche qualitative dell’olio extravergine e vergine d’oliva.
«Possiamo dire che il nostro Laboratorio chimico merceologico è andato oltre alle tecniche di analisi per l’individuazione dell’autentico DNA dell’oliva taggiasca – spiega dice Luca Medini, direttore di Labcam srl, Laboratorio chimico merceologico della Camera di Commercio di Savona, – infatti ormai da anni ha messo a punto, in collaborazione con il Difar-Dipartimento di Farmacia gruppo di Chimica analitica e chemiometria dell’Università di Genova, un metodo rapido e speditivo ma con le stesse prestazione di altri metodi molto più costosi per distinguere i prodotti a base di olive taggiasche, tipica “cultivar” del Ponente ligure, in particolare della provincia di Imperia, più pregiata e commercialmente ricercata. Il metodo innovativo è basato su tecniche di analisi per la caratterizzazione dell’oliva taggiasca in salamoia mediante la spettroscopia NIRS».
La ricerca ha proprio preso spunto dalla necessità di prevenire la commercializzazione di prodotti contraffatti con olive di altri ‘cultivar’, morfologicamente simili, come ad esempio il ‘leccino’ e il ‘coquillo’, ma decisamente più economici rispetto alle olive taggiasche, di elevato valore commerciale.
Il nuovo metodo, messo a punto in questi anni è un valido strumento, riconosciuto già a livello internazionale e accreditato con pubblicazioni scientifiche, per la verifica dell’autenticità delle olive. A questo procedura il Laboratorio di Albenga affianca altre tecniche applicabili per la certificazione delle olive in salamoia appartenenti al cultivar Taggiasca.



Sindrome sgombroide e istamina:il commento di LABCAM Albenga
Il caso delle intossicazioni alimentari a Genova del 10 dicembre 2025, con 18 persone soccorse dopo il consumo di piatti a base di pesce (probabilmente tonno), riporta sotto i riflettori un fenomeno tossicologico che spesso è sottovalutato: la sindrome sgombroide, ovvero un’intossicazione da istamina potenzialmente grave ma difficilmente riconoscibile a prima vista.
L’istamina è una ammina biogena prodotta dalla decarbossilazione dell’aminoacido istidina, che è naturalmente presente nei tessuti di molte specie ittiche appartenenti alla famiglia Scombridae — tra cui tonno, sgombro, sardine e acciughe.
Questa reazione non avviene spontaneamente nella carne di pesce fresca: è invece innescata da enzimi batterici che proliferano quando la catena del freddo viene interrotta o quando il pesce è conservato a temperature superiori ai 6-10 °C per periodi prolungati.
Meccanismo biochimico e correlazione con la sindrome sgombroide
In condizioni di deterioramento, i batteri trasformano l’amminoacido istidina in istamina, che può accumularsi in concentrazioni molto elevate. L’istamina così formata è termostabile: non viene decomposta da normali processi di cottura, refrigerazione o congelamento.
Dal punto di vista biochimico, l’istamina ingerita scatena reazioni cliniche molto simili a quelle delle allergie IgE-mediate — arrossamento cutaneo, prurito, nausea, vomito, diarrea, tachicardia, mal di testa — con un’insorgenza rapida, solitamente nell’arco di pochi minuti fino a due ore dopo il pasto.
Studi clinici hanno dimostrato che nei casi di intossicazione sgombroide, esami sulle urine mostrano livelli di istamina e dei suoi metaboliti decine di volte superiori ai valori normali, confermando la tossicità diretta della molecola assunta con l’alimento contaminato.
Il caso di Genova: elementi tecnici di correlazione
Nel caso di Genova:
Aspetti diagnostici e limiti di prevenzione
Dal punto di vista sanitario, la diagnosi di sindrome sgombroide è prevalentemente clinica: non esistono test immediati durante il soccorso per confermare istamina alta nei tessuti ingeriti. I controlli analitici su campioni di alimento e indagini sulla filiera alimentare sono necessari ma richiedono tempo e strumentazione all’avanguardia.
La prevenzione, dal punto di vista tecnico igienico, si concentra su:
Conclusioni tecnico-scientifiche
La recente serie di intossicazioni genovesi conferma un dato noto dalla letteratura scientifica: la correlazione tra accumulo di istamina nei prodotti ittici e la sindrome sgombroide è diretta e determinante, e può manifestarsi anche in assenza di evidenti segni di deterioramento del pesce.
Per operatori e autorità sanitarie, l’evento sottolinea l’importanza di controlli efficaci sulla filiera della conservazione del pesce, nonché la necessità di una diagnosi tempestiva e differenziale con altre forme di tossinfezioni alimentari. Solo così è possibile contenere il rischio di futuri episodi simili.
Luca Medini, direttore LABCAM Albenga
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